IN MARGINE AI ROGHI DI LAMPEDUSA

Nei giorni in cui alto si leva il fumo dei roghi appiccati nelle città americane, e #BlackLivesMatter si afferma come movimento di protesta globale (cullato e riverito dagli organi di stampa saldamente in mano a quel potere istituzionale che i nuovi rivoluzionari affermano di voler combattere), nuovi roghi sono assurti agli onori delle cronache italiane: si tratta degli incendi appiccati, a Lampedusa, ai barconi a suo tempo utilizzati dai migranti nel tragitto dalla Libia all’Italia e ormai giacenti in stato di abbandono sull’isola.

Il Ministro dell’Interno ha espresso ferma condanna per l’episodio, riaffermando la presenza dello Stato.

Più colorito l’intervento del Ministro del Sud e della Coesione Territoriale, Peppe Provenzano, che non ha esitato a definire l’incendio doloso in termini di “crimine contro l’umanità”.

Gli eventi, e l’inquadramento che stampa e esponenti di primo piano delle Istituzioni ne fanno, inducono a tre riflessioni.

Prima riflessione: nonostante l’impegno profuso nel riaffermare la bontà di un “modello di accoglienza” condiviso da “tutti i lampedusani”, la situazione sul campo, a Lampedusa come altrove, dimostra come il paradigma applicato dal Governo della Repubblica, con la parziale eccezione della periodo 1 giugno 2018 – 5 settembre 2019, non costituisce (se mai lo ha costituito) terreno incontestato. Le ultime manifestazioni di insofferenza, trascese poi nel fatto di reato, sono indice di un’avversione che sta covando, e che ben difficilmente si potrà blandire tentando di privarne le ragioni di fondo con puri artifizi retorici.

Seconda riflessione: riprendiamo qui le parole del Ministro dell’Interno in merito alla ferma presenza dello Stato ed all’impegno nella repressione del reato consumatosi presso i depositi dei relitti. Lo Stato comunica al cittadino il proprio impegno nella tutela dell’integrità di res derelictae:un impegno che può giustificarsi solo in virtù dell’assurzione di tali cose a simbolo. Ma (e qui dovremmo porre la domanda al Ministro Lamorgese) simbolo di cosa? A quale valore universale ci richiamano quelle cataste di legna che hanno avuto la funzione di trasbordare immigrati clandestini (nella migliore delle ipotesi) se non addirittura di costituire il mezzo per la consumazione del crimine di tratta di esseri umani? E mentre lo Stato si impegna, per bocca di un suo autorevole Ministro, a garantire la conservazione di cose che suscitano non già sentimenti di orgoglio, ma di vergogna, in che modo assicura la tutela delle vittime dell’immenso traffico di schiavi che ha Lampedusa come uno tra i suoi punti di approdo?

Chi visita le pagine di questo blog conoscerà già la risposta: quando lo scrivente avvocato ha provveduto, in nome e per conto dell’Associazione, al deposito delle denunzie per il crimine di tratta degli esseri umani a carico di sette NGOs per 19 sbarchi effettuati presso porti italiani nel periodo settembre 2019-febbraio 2020, la risposta istituzionale è stata il silenzio (da parte delle Procure di Agrigento e Taranto), quando non, addirittura, il rifiuto del deposito, come nel caso delle Procure di Messina e Ragusa.

Ultima riflessione: dalla lettura dell’incauto post del Ministero Provenzano, lo scrivente ha percepito una sensazione oscura di orripilazione, la cui causa non esita ad identificare in quel fenomeno che definirebbe “lo stupro della Verità”. Chi, come il sottoscritto, ha abbastanza primavere alle spalle, ha ancora avuto modo di crescere in un mondo (forse ormai irredimibilmente destinato alla dissoluzione) in cui la parola Verità aveva due significati che coesistevano: quello epistemologico di corrispondenza tra proposizioni e fatti, e quello di Uomo che di sé aveva potuto affermare “io sono la Via, la Verità e la Vita”. La questione fondamentale della Verità, in altri termini, consisteva nel non separare il piano del corretto raziocinio dal piano della giusta scelta morale e della tutela della Vita umana (che a quello dovevano essere necessariamente conseguenti). Questione che un tempo ci si allenava ad affrontare anche senza necessariamente professare fede nella Chiesa.

Oggi noi assistiamo, nel silenzio e nell’acquiescenza dei ceti che professionalmente dovrebbero porre la questione della Verità (giuristi, uomini di Chiesa, filosofi), al diffondersi di affermazioni come quella del Ministro, che è falsa sotto entrambi i profili.

Falsa sul piano puramente giuridico-razionale: un incendio non è un crimine contro l’umanità e basterebbe confrontare le disposizioni dello Statuto di Roma e l’art. 423 c.p. per convincersene.

Falsa sul piano etico e della difesa della Vita: si invocano a tutela di un simbolo (per di più riferibile non ad un valore, ma ad un dis-valore, ossia la riduzione dell’uomo a cosa e l’esercizio di poteri dominicali su di esso) gli strumenti ultimi di difesa dell’uomo dalle forme più estreme di aggressione alla sua vita. Strumenti concepiti dopo tragedie immani (i conflitti mondiali) e chiamati a giudicare anche di quei crimini, come la tratta, che Istituzioni e stampa nazionale sembrano ben disposte a lasciar cadere nell’oblio.

Nel loro nichilismo protestatario, magari senza che fosse l’intento di chi li ha appiccati, i bagliori dei roghi di Lampedusa (conseguenze di atti che lo scrivente non avalla) risospingono per un po’ indietro la tenebra ed il silenzio che sembrano voler avvolgere e soffocare le vicende degli schiavi trasportati dall’Africa all’Italia. Vicende cui vogliamo continuare a dare voce.

Alberto Ferrari



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