F3.- LA PERMANENZA IN LIBIA

Una volta giunti in Libia, le condizioni dei migranti si fanno ancora più gravose. La Libia è uno Stato collassato in seguito all’avventura militare sotto guida francese del 2011: non sussistono dunque strutture che svolgano efficacemente una funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria sul suo territorio. Si tratta dunque di un territorio su cui non si esercitano poteri sovrani ed in cui il potere è di fatto esercitato dai capi di tribù locali in conflitto tra loro.

In questo contesto la violenza si sfoga non su fronti bellici contrapposti, ma prevalentemente mediante atti di razzia di una fazione ai danni di quelle confinanti. Nella lotta per il potere le tribù, pur in contrasto tra loro, traggono profitto dalla tratta, che continua ad esercitarsi anche quando siano in conflitto tra loro le tribù che controllano i territori attraversati dalle piste.

La carenza di un potere sovrano centrale e la persistenza di una condizione di conflitto, il più delle volte latente talvolta manifesto, comporta numerose varianti rispetto alle modalità di trasporto già viste per i paesi sub-sahariani.

Innanzitutto non esiste alcun servizio di trasporto commerciale: gli spostamenti per tutto il territorio libico proseguono a bordo dei consueti pick-up impiegati per l’attraversamento del deserto. Pur sussistendo una rete viaria, il trasporto in territorio libico prosegue in fuori-strada, lontano dai centri abitati.

Il trasporto nei momenti di calma può avvenire a bordo di un unico veicolo ad opera di un unico equipaggio per tutta la traversata dal Fezzan a Tripoli, mentre nei periodo di conflitto aperto si interrompe in tappe. In tal caso le tribù rivali confinanti si danno appuntamenti telefonici in aree deserte convenute, dove i passeggeri solo lasciati soli per qualche ora, in modo che non si incontrino tra loro gli equipaggi di fazioni al momento in conflitto e che si evitino conflitti a fuoco con effetti onerosi per le organizzazioni.

I conducenti sono dotati di armi per proteggersi da possibili attacchi: soprattutto nella zona settentrionale del paese in prossimità della costa sono frequenti incursioni da parte di pattuglie che utilizzano mezzi muniti di mitragliere sul cassone. La mancanza di armi pesanti ed il peso del carico rende particolarmente vulnerabili i mezzi dei trafficanti. La necessità di nascondersi induce quest’ultimi a procedere isolatamente, anziché in convogli, proprio per sfuggire all’intercettazione di qualche pattuglia di predoni (il termine, per quanto obsoleto, è il più appropriato a descrivere il fenomeno attualmente in corso).

Sul territorio libico, si era precedentemente accennato, i migranti arrivano in pressoché totale carenza di denaro con cui finanziarsi il prosieguo del viaggio. Sul territorio libico, pertanto, si propone quale problema essenziale il reperimento di denaro con cui mantenersi nel quotidiano e pagare il traporto su terra prima e per mare poi.

Il lavoro sul territorio libico non si pratica, tuttavia, in condizioni di libertà e tanto meno di tutela sindacale. Anzi, in Libia i migranti versano in condizioni di privazione della libertà personale: privazione che può manifestarsi in una scala progressiva a seconda delle occasioni.

La condizione di privazione della libertà meno appariscente è quella dei migranti ospitati nei foyers che hanno libero accesso sulla pubblica via per trovarsi un lavoro. In questa ipotesi di apparente libertà i migranti pagano ai coxeurs preposti alla gestione dei foyers (di fatto i proprietari sono libici ed i gestori sono migranti sub-sahariani o bengalesi) e si recano quotidianamente nelle cd. chat-places: degli spiazzi situati nelle varie cittadine lungo la rotta, in cui cittadini libici si recano alla ricerca di manovalanza da sfruttare per le proprie necessità.

In considerazione dei danni provocati dai conflitti a fuoco vi è ampia domanda di manovalanza per ripulire aree da detriti, portare materiale da costruzione, per lavori di ristrutturazione generalmente affidato a personale maghrebino.

Nei tragitti di andata e ritorno tra il foyer, la chat-place o il cantiere i migranti sono frequentemente attaccati da bande giovanili armate, che in parte per arricchirsi, in parte per spregio e semplice divertimento, li rapinano con armi da fuoco o coltelli. Ne conseguono frequentemente ferimenti, se non uccisioni, e statisticamente la maggior parte tra le persone interrogate riporta cicatrici o lesioni ossee cagionate nel corso di attacchi in strada o di torture nelle carceri.

Le rapine prosperano grazie alla difficoltà per i migranti di accantonare i contanti: non dispongono infatti di luoghi sicuri ove nasconderli, tanto meno nei foyers dove dimorano e sono costretti a portarli in dosso, separandoli in diversi mazzetti in modo da non rischiarne la perdita totale in un unica aggressione. Rari sono i casi in cui si instaura un rapporto di fiducia con i coxeurs all’interno dei foyers: in tali ipotesi sono quest’ultimi ad occuparsi dell’accantonamento dei risparmi dei singoli migranti con cui abbiano costituito un rapporto interpersonale di fiducia.

Il lavoro viene prestato nella generalità dei casi secondo due diverse modalità, a seconda del gradimento da parte dei datori di lavoro: o per singola giornata o per periodi prolungati. Nel primo caso, di frequente alla fine della giornata la paga risulta sensibilmente inferiore a quanto concordato prima dell’inizio del lavoro o viene addirittura rifiutata ricorrendo anche alla minaccia fisica a mezzo di arma bianca o da fuoco; nel secondo caso il singolo lavoratore entra nell’orbita del datore di lavoro, viene trattenuto a dimorare in cantiere, per evitare i rischi collegati alla circolazione in strada e non riceve retribuzione per contanti. Il datore di lavoro, dopo qualche mese di lavoro si occupa della prosecuzione del viaggio verso la costa o addirittura dell’imbarco in mare, contattando direttamente gli scafisti e provvedendo al pagamento di quanto richiesto.

In entrambe le ipotesi si instaura un rapporto di vero e proprio servaggio con un padrone che liberamente dispone di uno schiavo, senza rischiare la minima conseguenza per qualsivoglia prepotenza o violenza che intenda esercitare nei suoi confronti.

Il migrante si vede pertanto “spinto” (il verbo to push è inconsapevolmente utilizzato nel linguaggio dei migranti anglofoni per descrivere il loro viaggio come frutto di vera e propria spinta diretta dall’esterno) verso la tappa successiva senza nemmeno rendersi conto del prezzo richiesto dalla rete dei trafficanti.

Per quanto il mancato pagamento di alcun corrispettivo in contanti renda ancora più evidente la natura servile del lavoro in Libia, per lo stesso migrante si tratta di una soluzione di comodo, in quanto previene l’esposizione a rischi persino letali di essere sottoposti a rapina.

La conurbazione di Tripoli è divenuta un immenso luogo di raccolta di tutti gli sbandati provenienti dalle frontiere meridionali del paese: interi quartieri siti lungo la costa occidentale, nell’entroterra meridionale ed occidentale della città sono costellati di foyers dove sono ammassati i migranti in cerca di un contatto per imbarcarsi.

Particolare è l’approccio dei veicoli alla periferia cittadina: contrariamente all’entroterra, non ne è tollerato l’ingresso in città. I veicoli pertanto si fermano sul limitare dei sobborghi esterni ed attendono l’arrivo di autisti, che su veicoli comuni caricano dalle quattro alle otto persone nascondendole nel baule e nella parte posteriore dell’abitacolo sotto delle coperte per non renderle visibili dall’esterno.

Per rendere idea dell’estrema instabilità delle condizioni di vita nel complesso, che si tratti della quotidianità della vita nelle singole cittadine, del trasferimento dall’entroterra verso la costa,o dell’imbarco, viene in soccorso un termine impiegato dai migranti: Asma Boys.

Dai loro racconti gli Asma Boys sono le persone che costituiscono la costante minaccia addirittura alla sopravvivenza individuale: e tale minaccia può indifferentemente provenire dai trafficanti stessi, che si occupano del trasporto, dai rapinatori per strada, dalle pattuglie di predoni che attaccano i mezzi nei trasferimenti nel deserto (soprattutto nella parte settentrionale del paese), dagli scafisti, così come dai carcerieri, dal personale di polizia e della guardia costiera libiche.

Tutti questi soggetti sono comunemente denominati Asma Boys e costituiscono il ricordo più minaccioso e spaventoso che perseguita le vittime della tratta.

Ed una particolare attenzione deve essere diretta all’attività del personale che indossa un’uniforme ad un imprecisato titolo (appartenenza alle forze armate, dell’ordine, a qualche milizia insorgente: distinzione non percepita e non percepibile da parte di chi abbia attraversato il territorio libico).

È un dato di fatto che i migranti siano frequentemente arrestati e tradotti nelle carceri; è un fenomeno meno diffuso, ma comunque testimoniato, che vengano consegnati a vere e proprie carceri private. La finalità della detenzione è sempre la stessa: l’estorsione di denaro da parte delle famiglie.

L’estorsione, sul suolo libico, non è esercitata con la sola privazione della libertà e la prospettazione dell’uccisione, come poteva avvenire da parte delle bande criminali sul suolo italiano, ma tramite la tortura e la prostrazione quotidiana dei detenuti. Diverse sono le condizioni di detenzione descritte anche a seconda delle singole carceri: può variare di volta in volta l’estensione dei locali (da grandi camerate a minuscole celle); può variare la presenza o meno di servizi igienici (ma il tratto comune nella maggioranza dei casi è l’impiego di latte in cui espletare i bisogni e la carenza di possibilità di lavarsi).

Quotidiano è l’assoggettamento dei detenuti a violente percosse (alcune persone sentite hanno riportato persino lesioni spinali) e ad una rigorosa denutrizione, in modo da privarli delle energie per resistere alle violenze. Il sistema carcerario nel complesso deve pur mantenere una propria economia mediante le estorsioni, altrimenti non si giustificherebbe un così esteso ricorso agli arresti o, più correttamente, ai sequestri dei migranti.

Un altro dato economico può essere dedotto dai racconti delle vittime, che in quanto tali naturalmente non conoscono i meccanismi organizzativi del traffico di esseri umani: non è infrequente che i conducenti dei mezzi (indifferentemente nella città di Sabha al termine dell’attraversamento del deserto a confine con il Niger, ovvero in quella di Beni Ulid, nei pressi di Tripoli, o nei sobborghi della stessa Tripoli) portino il loro carico di persone non ad un foyer della rete, ma ad un carcere.

Costituisce evidentemente un’anomalia che un trasportatore tragga un’utilità ed un guadagno dal portare la propria merce in un luogo tendenzialmente ostile, anziché in quello di destinazione. Usando un parallelo storico, per descrivere la portata economica del fenomeno, è come se una nave negriera consegnasse il proprio carico di schiavi ad una nave militare di una nazione abolizionista.

Non solo: i migranti non sono a conoscenza degli accordi, del presumibile scambio di denaro, né tanto meno dei dialetti libici utilizzati nelle conversazioni tra vettori e carcerieri, che si dimostrano tuttavia tutt’altro che ostili tra loro.

Questo cosa sta a significare (di qui l’identificazione sotto l’ampia denominazione di Asma Boys di trafficanti, criminali comuni e membri di forze armate, di polizia e miliziani): che per la rete il migrante può rappresentare fonte di proventi sia mediante il pagamento anticipato del viaggio, sia mediante lo svolgimento di lavoro servile, sia mediante il pagamento di riscatti, sia mediante la vendita ad altri gruppi criminali (i carcerieri a questo punto si trovano su un piano di perfetta equivalenza non solo etica, ma anche giuridica con i trafficanti, se non in una condizione di responsabilità ancor più aggravata), dopo aver già ricevuto un corrispettivo per il servizio di trasporto.

All’interno di questa logica si spiega il fenomeno già visto ad Agadez: ovvero l’acquisto da parte dei coxeurs di quei passeggeri che non avessero pagato il pedaggio al posto di blocco all’ingresso della città.

Secondo le parole del principale coxeur di Agadez, ogni migrante ha un proprio valore (ovviamente economico) e sta al mercante esperto comprenderlo e trarne guadagno.

Sussiste dunque un preciso collegamento, una stabile complicità, tra componenti squisitamente criminali e componenti istituzionali all’interno della tratta: alla tolleranza ed alla corruzione del personale dei posti di blocco nei paesi sub-sahariani, si sostituisce qui una più stretta ed articolata collaborazione. Collaborazione rafforzata dalle condizioni di collasso istituzionale della nazione libica, che lascia molto più spazio di libertà ai singoli operatori.