UCRAINA: A RISCHIO L’IMPARZIALITÀ DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE

UCRAINA: A RISCHIO L’IMPARZIALITÀ DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE

Con dichiarazione del 28 febbraio 2022, a soli quattro giorni dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il Procuratore presso la Corte Penale Internazionale ha comunicato ufficialmente l’apertura di un’indagine sulla commissione di crimini di guerra e contro l’umanità sul territorio ucraino.

La dichiarazione, apparentemente sollecita e doverosa, alla luce di una corretta contestualizzazione dei fatti si dimostra in realtà di notevole imprudenza e rischia di porre in discussione l’imparzialità della Corte all’interno della Comunità internazionale.

Il primo elemento da prendere in considerazione per cogliere l’effettiva portata della dichiarazione del Procuratore è la giurisdizione della Corte in termini territoriali.

Costituita sulla base di un accordo tra Stati ed al di fuori delle Nazioni Unite – per quanto vi operi in collegamento – la giurisdizione della Corte in linea di massima non può che operare all’interno degli Stati Membri, che abbiano sottoscritto lo Statuto di Roma o vi abbiano successivamente aderito.

Né la Russia, né l’Ucraina – come del resto le principali potenze mondiali, come Stati Uniti, Cina ed India – hanno aderito allo Statuto di Roma e non fanno pertanto parte della comunità degli Stati Membri.

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto di Roma la giurisdizione può essere attivata in forza di tre atti di impulso:

– la denuncia ad opera di uno degli Stati Membri, per crimini commessi sul rispettivo territorio;

– la denuncia ad opera del Consiglio di Sicurezza nell’esercizio dei poteri conferitigli dal Capitolo settimo della Carta delle Nazioni Unite per contrastare le minacce e le violazioni della pace, nonché gli atti di aggressione;

– l’iniziativa cd. motu proprio da parte dello stesso Procuratore.

Nel caso di specie il Consiglio di Sicurezza per definizione non potrà pronunciarsi per richiedere un intervento della Corte Penale Internazionale, considerato il potere di veto della Russia in qualità di membro permanente.

Nessuno dei due Stati potrà richiedere l’intervento, in quanto non aderenti allo Statuto di Roma.

Il potere di impulso non può pertanto essere esercitato da altri che dall’Ufficio del Procuratore presso la Corte Penale Internazionale, con modalità sostanzialmente assimilabili a quelli di un ordinario ufficio del pubblico ministero nelle giurisdizioni penali ordinarie nazionali.

Ai sensi dell’art. 12 dello Statuto, tuttavia occorre sempre ai fini territoriali un secondo prerequisito costituito da due ipotesi quanto meno alternative (se non anche, ma non necessariamente, cumulative), ovvero la commissione di un crimine:

– sul territorio di uno Stato Membro ovvero

– da parte di un cittadino di uno Stato Membro.

Per entrambe le ipotesi, tuttavia, lo Statuto prevede la possibilità di estendere la giurisdizione della Corte sul territorio di ulteriori Stati terzi, non aderenti allo Statuto di Roma, ad una condizione: che questi Stati terzi, pur continuando a non aderire allo Statuto di Roma, accettino con dichiarazione ufficiale depositata presso la Cancelleria della Corte, la sua giurisdizione con riferimento a determinate categorie di crimini.

Nel caso di specie la dichiarazione di accettazione è stata effettivamente resa dal ministero degli affari esteri ucraino l’8 settembre 2015 con uno specifico oggetto ed una specifica efficacia temporale: crimini di guerra e contro l’umanità consumati da alti ufficiali russi e delle milizie di Donetsk e Lugansk, definite nella dichiarazione organizzazioni terroristiche; tempo indeterminato.

Come previsto dall’art. 12 dello Statuto il governo ucraino nella propria dichiarazione si è impegnato a collaborare lealmente con la Corte nelle attività di supporto necessarie per l’effettivo esercizio della giurisdizione da parte degli organi della Corte, Ufficio del Procuratore in primis.

In sintesi, sotto il profilo territoriale il Procuratore si è prestato ad attivare le proprie indagini sulla base di una dichiarazione di accettazione che non apre l’esercizio dell’attività di indagine e di accusa su tutti i crimini consumati nell’area di operazioni, ma solo su quelli consumati da un’unica parte, le forze armate russe e le milizie del Donbass, ma non dall’altra, le forze armate e le milizie schierate a difesa dell’Ucraina.

Si profila pertanto, in un prossimo o remoto futuro, la possibilità di attivazione di un processo asimmetrico, che vedrà sotto accusa una parte soltanto, escludendone l’altra.

La prospettiva, di per sé già inquietante, si aggrava laddove si consideri il secondo elemento di contesto, ovvero la giurisdizione per materia.

Ai sensi dell’art. 5 dello Statuto di Roma i crimini – più correttamente le famiglie di crimini – internazionali sono quattro: il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra ed il crimine di aggressione. Quest’ultimo appare in coda non perché meno importante, ma perché introdotto successivamente con una risoluzione del 2010: si tratta di un crimine che vede responsabili non le gerarchie militari, ma addirittura i vertici politici cui le prime rispondono e che richiedono specifiche formule e garanzie perché possa effettivamente essere esercitata l’accusa.

I primi tre sono in ordine di gravità decrescente e si può rilevare come il genocidio – ovvero l’intenzionale distruzione totale o parziale di un gruppo per ragioni di cittadinanza, etniche, razioni o religiose – per quanto più volte invocate da stampa del tutto inadeguata a commentare fatti di guerra non sia stato inserito nella dichiarazione di accettazione della giurisdizione presentata dal governo ucraino.

Esula dalla stessa anche il crimine di aggressione, l’unico che potrebbe astrattamente vedere un’asimmetria tra le parti contrapposte sul campo: i crimini su cui il Procuratore dovrebbe indagare ed esercitare l’accusa sono pertanto i soli crimini contro l’umanità e di guerra consumati da una sola delle due parti in conflitto.

Entra qui in gioco un terzo elemento da tenere in considerazione, nel contesto dell’ordinamento penale internazionale, ma in quello dei conflitti armati, la cui inosservanza è il presupposto per l’attivazione del primo: l’obbligatorietà delle leggi di guerra per tutte le parti in conflitto a prescindere dalle ragioni che possano essere reciprocamente rivendicate, come previsto dall’art. 1 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra e del Primo Protocollo Aggiuntivo alle medesime, nonché dalla premesse alla Quarta Convenzione dell’Aja sulla guerra terrestre, che raccolgono i fondamentali della disciplina inerente alla conduzione delle operazioni militari.

Di qui il Procuratore presso la Corte Penale Internazionale ha consentito l’apertura di un’attività investigativa asimmetrica sui crimini che possano essere consumati nel corso del conflitto, accettando di limitare i propri poteri nei confronti di una parte sola in conflitto ed escludendone l’altra.

A titolo meramente esemplificativo uno strumento di verifica a posteriori della temerarietà dell’impostazione adottata da un organo di una Corte terza ed imparziale nei confronti di tutti i membri della Comunità internazionale possono essere i fatti accaduti nell’acciaieria di Mariupol’: la presenza tra gli assediati di civili, che certamente non dimoravano all’interno della struttura industriale e con tutta probabilità sono stati trasferiti o autorizzati a trasferirsi all’interno di una piazzaforte sotto attacco da parte delle unità che la controllano è una grave violazione del principio di precauzione passiva, che impone alle parti confliggenti di non schierarsi in prossimità di civili o di soggetti comunque protetti.

I fatti di Mariupol’ potranno pertanto essere eventualmente sottoposti ad indagine ed a giudizio limitatamente alle violazioni in termini di distinzione, proporzionalità precauzione attiva ed umanità ad opera dei soli assedianti, ma non ad opera degli assediati.

Nessun cittadino – quanto meno dall’epoca napoleonica – accetterebbe di essere sottoposto ad una giurisdizione che escluda dai propri poteri determinate fasce di popolazione: in questo caso una parte in conflitto, quella ucraina.

La perdita di imparzialità riduce la Corte in uno strumento politico, in uno strumento coercitivo, alternativo alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, ad oggi paralizzato ai poteri di veto incrociati. E tale strumento opera condizionando l’effettivo esercizio della diplomazia di una delle parti in conflitto, limitandone la partecipazione ai forum internazionali ed alle altre attività che richiedono la partecipazione dei capi di stato: limitazione che avviene senza neppure porre in discussione – anzi dando già per risolta – la questione della legittimità dell’uso della forza ai sensi dell’art. 51 delle Nazioni Unite, il vero tema che dovrebbe essere risolto all’interno delle Nazioni Unite con approfondimento ben maggiore di quello dimostrato nella risoluzione dell’Assemblea Generale del 21 marzo scorso.

E mentre i civili sono sotto l’assedio nei sotterranei delle acciaierie, le stelle stanno a guardare…



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