REFERENDUM DEL 12 GIUGNO, LA PRIMA RAGIONE PER UN SÌ: LA NATURA OBBLIGATORIA DEI POTERI A GARANZIA DELL’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA

REFERENDUM DEL 12 GIUGNO, LA PRIMA RAGIONE PER UN SÌ: LA NATURA OBBLIGATORIA DEI POTERI A GARANZIA DELL’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA

Il nostro Ordinamento prevede due modelli di organizzazione: quello riservato al Potere esecutivo, caratterizzato da discrezionalità nell’azione ed organizzazione piramidale e quello riservato all’Ordine giudiziario, caratterizzato da indipendenza dei singoli membri, ma da obbligatorietà dei poteri.
Per quanto concerne l’Esecutivo, l’art. 95 della Costituzione dispone: “Il Presidente del Consiglio
dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri”, così come l’art. 98 prevede che “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
In estrema sintesi l’apparato amministrativo dello Stato è una struttura devoluta ad esplicare poteri discrezionali (finalizzati al buon andamento della cosa pubblica), ma al tempo stesso imparziali nei confronti della cittadinanza sotto un duplice vincolo: l’unità di indirizzo del Governo e le prescrizioni di legge dettate dal Parlamento. Tramite tale duplice vincolo si consente la realizzazione del modello dettato dall’art. 1 della Costituzione, che solennemente (ma non certo solo simbolicamente) afferma: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
La magistratura ha un compito del tutto diverso rispetto all’Esecutivo, ovvero la tutela dei diritti
soggettivi e più in generale della legalità all’interno dei rapporti sociali. Non per nulla è definita
dall’art. 104 della Costituzione come “un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.
Ma come si può concretamente garantire l’indipendenza di questo ordine investito di un potere tanto penetrante (ancor più di quello legislativo od esecutivo) nella vita individuale di ciascun cittadino o dei gruppi sociali all’interno dei quali il singolo cittadino si aggrega?
La risposta può sembrare ad un pubblico generalista sorprendente: spogliando l’intero ordine
giudiziario di ogni potere discrezionale, vincolandone il potere alla stretta osservanza della legge.
Così dispone l’art. 25 della Costituzione (che non appartiene al titolo dedicato alla magistratura, ma ad uno ancor precedente, posto a presidio delle libertà individuali nei rapporti civili), laddove affida alla legge la determinazione di quale giudice possa essere naturalmente e pertanto legittimamente investito della decisione su una controversia. La norma detta un principio fondamentale, spesso trascurato nella prassi applicativa, inerente già all’organizzazione degli uffici.
Poi vi sono due disposizioni funzionali che vincolano alla stretta osservanza di legge l’attività tanto della magistratura giudicante (art. 101, comma 2, Cost.: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”), tanto quella della magistratura inquirente (art. 112 Cost.: “Il pubblico ministero ha
l’obbligo di esercitare l’azione penale”).
Non sono previsti per la magistratura strumenti gerarchici di indirizzo e controllo, come per
l’Esecutivo: la magistratura costituisce un potere di natura diffusa, che non tollera forme di controllo gerarchico. Fondamentale, pertanto, è la rigorosa osservanza della legge, ovvero della volontà del Parlamento, nella sua funzione di rappresentanza della sovranità popolare.
La cultura del “diritto vivente” è una pericolosa deviazione del fondamentale principio “pacta sunt servanda” e le leggi dello Stato sono i contratti fondamentali che vincolano reciprocamente i cittadini tra loro e nei confronti della Repubblica che li rappresenta e tutela nel loro insieme.
Il malcontento odierno, alquanto diffuso tra qualsiasi famiglia abbia avuto la disavventura di essere coinvolta in una vicenda giudiziaria, dipende dal fraintendimento dell’autonomia e dell’indipendenza come una forma di svincolo dalla stretta legalità, rendendo le aule di giustizia luoghi frequentemente assimilabili a case da gioco in cui è pressoché impossibile valutare a priori il rischio di lite e, di conseguenza, orientare la condotta del cittadino nella quotidianità della vita.
I referendum non risolveranno in sé direttamente il problema dell’obbligatorietà dei poteri della magistratura, ma resta pur sempre fondamentale mantenere aperto il sentiero per una riforma complessiva del titolo IV del secondo libro della Costituzione, che riporti finalmente legalità ed armonia negli assetti sociali del paese.



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